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Principi - Maestri - Duelli a Ferrara

La Scherma ed i suoi Principi
La scherma è quell’arte con cui, attraverso norme razionali e ben definite, si impara ad offendere e a difendersi dai colpi dell’avversario. I principi di quest’arte si identificano con la destrezza ed il vigore.
Nella scherma il tiratore non è un semplice gladiatore, che para per colpire; esso è uno stratega che prepara il suo piano di lotta tanto per l’attacco quanto per la difesa. Egli è in una parola soldato e generale. Deve perciò essere filosofo per calcolare la qualità e l’armonia delle sue forze, valutando quanto possa intraprendersi e quanto convenga, in un dato assalto, ad un determinato avversario; insomma adattare i concetti alla natura, alle forze del nemico, all’efficacia dei mezzi di riuscita e d’opposizione.
Se in origine la scherma era la preparazione al combattimento, successivamente è diventata la ripetizione del medesimo costituendo una scienza che studia le risorse dell’intelligenza e della struttura fisica attraverso cognizioni multiple ed osservazione profonda di noi stessi e degli altri; un’arte lunga e difficile da apprendersi, come quella che suggerisce i mezzi per risolvere i due problemi delle armi:

Dare e non ricevere
Toccar poco, ma toccar bene

Siccome le risorse dell’intelligenza, come la struttura fisica fanno lo schermitore, così per diventare ottimo tiratore è necessario possedere un organismo che permetta di apprendere le guardie, le parate, gli attacchi, il tempo e la misura, basi generali della scherma.
Questi sono i principi fondamentali dell’arte delle armi, per i quali è lecito allo schermitore di applicarli con le modificazioni che l’intelligenza suggerisce e che il fisico richiede.
Velocità: è la naturale derivazione della forza. Senza forza non si può essere veloci, non si può condurre e dominare il ferro, non si colpisce con efficacia l’avversario.
Precisione: è rappresentata dalla coordinazione e compostezza dei movimenti.
Pronta percezione: è l’opportuno e rapido riconoscimento delle diverse azioni.
Conoscenza del tempo: è rappresentata dall’abitudine di saper scegliere il momento opportuno allo svolgimento di una data azione di offesa o di difesa.
Conoscenza della misura: consiste nel saper apprezzare esattamente la distanza che separa lo schermitore dall’avversario, per poter prontamente calcolare il tempo che impiega la propria arma ad eseguire un’azione determinata affinché riesca efficace.

Maestri italiani nella storia
La scherma è sempre stata motivo di vanto e gloria del nostro paese nel mondo. Si hanno molte notizie di maestri italiani impegnati all’estero nell’insegnamento dell’arte. Di alcuni di essi ci da notizia Giorgio Silver, l'attrabiliare autore del Paradoxe of Defence, il quale nell'ultima edizione (1610?) c’informa largamente dell'opera e delle gesta di codesti tre nostri compatrioti. Mediocre per valentia ed intelletto, i1 Silver fu facilmente soppiantato dai maestri italiani. Il rammarico che ne provò fu inferiore al danno, che pure era grosso; e lo indusse a scrivere e a stampare le cose più oscene contro i tre italiani; però, dopo ch’essi erano morti.
Essi erano: il signor Rocco pugliese, della Terra di Bari, suo figlio Gerolamo, e Vincenzo Saviolo, loro aiutante,  valentissimo nell'armeggiare ed autore di un prezioso trattato sull’arte dell'armi.
Il Silver narra che il signor Rocco, pugliese, era sbarcato in Inghilterra nel 1586 e subito era stato nominato maestro della Corte, carica prima occupata dallo stesso Silver, il quale cominciò a gridare allo scandalo, perchè Rocco faceva calzare ai suoi scolari scarpe con le suole di piombo, onde perdessero più facilmente l'abitudine d'indietreggiare davanti la punta di una spada; ma questo era niente. Altre e più gravi colpe egli rimprovera al signor Rocco il quale aveva avuto la sfacciataggine di prendere in affitto una bella casa in Blake Fryer, per aprirvi la sua scuola, sdegnando d'insegnare l'arte sua nelle taverne come facevano i maestri inglesi; e di aver posto il nome di Collegio alla sua sa1a d'armi, che si trovava in Warwich Lane. Inoltre, Rocco si stimava il migliore insegnante che potesse in allora vantare l'Inghilterra e, sempre per superbia italiana, aveva fatto appendere i blasoni dei Pari e dei gentiluomini inglesi suoi allievi, alle pareti, del suo Collegio, e sotto a ciascuno pendevano le armi, striscie, pugnali, guanti, ecc., appartenenti ad ognuno. La sala era molto vasta ed eranvi sgabelli, divani, poltrone, nel fine, di permettere agli scolari di assistere comodamente alle lezioni del signor Rocco; e, come se ciò non fosse di per sé, una cosa imperdonabile, il maestro italiano si  faceva pagare le lezioni da 20 a 100 sterline al mese ; e perché nulla mancasse ai frequentatori, in mezzo alla sala eravi una grande tavola, fatta venire, dall'Italia, tutta scolpita e coperta da un grande e  ricco tappeto a frange d'oro, con bei calamai guarniti di velluto cremisi, e penne e ceralacca e polverino e carta, ricchissimamente dorata ai margini, blasonata, onde, agli allievi fosse possibile scrivere le loro lettere e mandare i servi in livrea, a fare le commissioni. Infine il sor Rocco aveva collocato in un angolo della sala un grande orologio a quadrante, fatto venire esso pure dall'Italia, munito di eccezionali suonerie, che facevansi sentire ad ogni quarto d'ora. Per ultimo, possedeva una stanza, addobbata con -moltissime e ricche armi ed armature italiane, ch’egli addimandava il suo studio, nella quale, a porte chiuse, insegnava dopo, giuramento  di non i armeggiare mai contro il proprio maestro, i colpi segreti a 100 sterline ognuno. Ma quello che più rodeva l’anima del Silver era il favore e la grande stima che il rivale, Rocco, godeva presso la Corte, ov’era trattato con gli onori di un principe.
Tutte queste peccata del signor Rocco avevano indotto il Silver a sobillare taluni gentiluomini contro il maestro italiano, tra cui un certo Austen Bagger, famosissimo per la potenza della forza fisica, il quale, trovandosi un giorno con altri gentiluomini e col Silver a rinfrescarsi in una taverna fece scommessa di combattere ed abbattere il signor Rocco. Messo alle strette dagli amici, i1 Bagger si armò e recatosi, dai compagni spalleggiato, sotto alle finestre del signor Rocco, cominciò ad apostrofarlo:
“Signor Rocco, te, che stimano essere il solo uomo abile nelle armi; te, che ti permetti il lusso di traversare i mari per venire ad insegnare a noi, tuoi maestri; te, altro non sei che un vigliacco! Esci dalla tua, casa, se l'osi; discendi a combattere meco e ad arrischiare la tua vita, con me!”
Rocco, scorto il suo insultatore armato di striscia e rotella, afferrò una spada a due mani e si precipitò in strada, e con un coraggio da leone piombò sul Bagger; questi si difese aspramente: ma avrebbe pagato cara la spavalda provocazione, se in suo aiuto non fossero accorsi una dozzina di amici , i quali, aggredito alle spalle Rocco, lo ferirono gravemente. Ma quando videro sortire dalla casa loro Gerolamo e il Saviolo armati, si dettero tutti alla fuga, malgrado alcune ferite, che Rocco prima e poi gli altri due italiani, avevano inferto ad alcuni degli aggressori, tra cui il Bagger stesso, di cui più intese poi a parlare.
Qualche tempo dopo Rocco morì onusto di gloria e di quattrini e gli successe il figlio Gerolamo, sempre assistito dal Saviolo. Essi continuarono ad insegnare per altri sette anni la scherma italiana alla nobiltà inglese, e vi sarebbero rimasti chissà per quanto altro tempo se, verso il 1610, Francesco Saviolo non avesse beffeggiato gl’inglesi, affermando che non erano furbi, e che scappavano davanti  alla punta di una spada. Per codesta imprudenza il Saviolo fu sfidato dai fratelli Toby e Giorgio Silver, ed ebbe il torto di non accogliere le loro sfide, e tanto meno di recarsi a Bell Savage dove i Silver lo avevano invitato per combattere con essi ala macchia; ma probabilmente con l'intenzione di farlo assalire, da una ventina di loro amici, che ve lo avrebbero fatto rimanere per l'eternità.
Il rifiuto inasprì la questione, ed i Silver allogarono una grossa squadra di loro sicari in una bottega, dove si giocava e si beveva cergovia, ed era prossima alla casa dei maestri italiani, nel fine di sorprenderli al passaggio. Ed, infatti, passando di là Gerolamo e Vincenzo disarmati, furono aggrediti dagli inglesi appostati, ed erano in una ventina e furono, perciò, costretti a fuggire. E sarebbero stati raggiunti e finiti, se una giovane, amante di Gerolamo, noti si fosse messa a gridare al soccorso. Poco dopo, peraltro, i due maestri italiani tornarono ben provvisti di armi ed affrontarono gli  aggressori, che a loro volta, vedendoli armati, si dettero alla fuga per aver salva la vita.
Il giorno successivo tutta Londra ripeteva :
“due soli maestri d'arme italiani hanno fugato tutti gli schermitori inglesi che li avevano aggrediti”.
Ciò valse a raddoppiare gli allievi del Collegio di Blacke Fryer, con grande vantaggio morale e materiale dei nostri.
Poco dopo il Saviolo ebbe un abbattimento con un bravaccio, Bartolomeo Bramble, a Wells, nella Contea di Somerset e sebbene il Saviolo fosse armato di semplice striscia da pompa (di gala) con la piccola guardia dorata, affrontò il Bramble e, feritolo, lo fugò, malgrado la buona armatura che lo ricopriva.
Il Silver, peraltro,  conviene che Gerolamo figlio di Rocco, era fin gran valoroso, che non aveva paura nemmeno del demonio; ma perchè era estremamente imprudente un giorno gl’incolse male.
Una domenica egli ,si faceva scarrozzare in compagnia di una bella giovane, sua amica, quando ebbe la sventura d'incontrarsi con un tal Cheese, famoso armeggiatore inglese, col quale il Gerolamo aveva avuto pel passato un duello e lo aveva ferito piuttosto gravemente.
Questo Cheese combatteva. sempre col braquemart (spada alquanto ricurva) e col pugnale. Agl’insulti del Cheese, Gerolamo saltò giù dalla carrozza; sguainó la striscia e piombò in guardia di stoccata. Ma, mentre portava un fendente al Cheese, questi invece di parare vibrò una puntata a Gerolamo, e nell'incontro ambedue rimasero gravemente feriti. Gerolamo morì alcune settimane dopo per sopraggiunta infezione; preceduto, però, nella tomba dallo Cheese, a cui il fendente aveva aperto orribilmente il cranio. La Giustizia. lasciò correre, dando libertà ai complici dello Cheese dopo la morte di Gerolamo. Rimasto solo e non più giovane, qualche anno dopo il Saviolo andò a stabilirsi a Parigi: ma della sua vita più nulla è stato possibile rintracciare nelle cronache francesi del tempo, che pur son ricche di notizie sui maestri italiani dell’armeggiare, i quali in buon numero, e sino quasi al Settecento esercitarono la professione in Francia.

Un duello del Tasso
Torquato Tasso famoso poeta al servizio della corte estense a Ferrara, aveva anche la fama di valente schermitore, la conferma della sua passione si trova tra le righe della “Gerusalemme liberata” in cui spesso, mentre racconta dei combattimenti tra i vari protagonisti, descrive dettagliate azioni schermistiche. Qui a seguito però riportiamo sue notizie che lo vedono uscire vincitore da un pericoloso duello a tradimento.
 “Allorchè l’esimio poeta fu dal nobile fellone Ferrarese sfidato a duello, e che dietro costui altri tre suoi fratelli sopraggiunsero a tradimento seppe il Tasso nono solo difendersi da tutti e quattro, ma avendo gravemente ferito quello con cui combatteva, ferì ancora uno de’ tre sopraggiunti, e forse avrebbe vinto i due restanti, se il popolo non si frapponeva alla zuffa."
(La vita del Tasso di Giov. Battista Manso cap. XI. Venezia 1825)

Duello con Cappa e Spada a Fossadalbero
Ecco un esempio di un tipico (almeno per la fine ‘400 e tutto il ‘500) duello italiano tra soldati tenutosi a Fossadalbero, paese a pochi chilometri da Ferrara famoso per la sua residenza estense.

[1480] “A dì 11 [Settembre] il lunì, due soldati forastieri combatèano a Fossa d’Albero davanti al Duca nostro [Ercole I], armati con corazine e cellate e con mantelli suro il brazo, e lo più vecchio dette quattro gran ferite al più zovane. Allora il duca li fece spartire a ziò non se amazassero.
(Bernardino Zambotti, Diario Ferrarese dall’anno 1476 al 1504)

Duelli con pretesto culturale
Sono molti gli esempi in cui l’usanza del duello è stato un pretesto per compiere abusi da parte di personaggi attaccabrighe, purtroppo sembra che questi non abbiano risparmiato neanche la nostra città.
"Ed in Ferrara un gentiluomo si battè diciotto volte in duello per sostenere “essere l’Ariosto poeta superiore al Tasso”. E quando al diciottesimo scontro, trafitto, stava per morire, esclamò: “E dire, che non ho letto una parola né di Ariosto, né di Tasso!”.
(G.J. Duelli celebri, 1928)